Il 3 febbraio 1963 veniva istituito l’Ordine dei Giornalisti. Giornalisti professionisti e i pubblicisti, iscritti nei rispettivi elenchi dell’albo territoriale. La voce normativa porta il numero 69. Una legge che prevede che l’attività giornalistica è un’attività intellettuale a carattere professionale, caratterizzata quindi da quell’elemento di “creatività” che fa del giornalista non un impiegato o un operatore esecutivo, ma, appunto, un professionista. All’interno ben cinque Titoli divisi in capi con al seguito ben 75 articoli. Diritti e doveri, procedure per elezioni della carica elettive, procedimenti disciplinari, ricorsi al consiglio nazionale, le incompatibilità le modalità di iscrizione, le varie competenze e attribuzioni alle cariche elettive e tanto altro. Il pezzo forte della legislazione cornice di questa nobile attività è tutta riposta nel fatidico articolo 2, cuore pulsante di tutta la categoria: Diritti e doveri. Un articolo ripetuto fino alla noia agli iscritti nei tanti corsi di formazione deontologica: “Diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori. Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori”. Su questo articolo in sessant’anni si sono susseguiti ricorsi, procedimenti penali e civili, procedimenti disciplinari che in molti casi non hanno potuto evitare di arrivare alla fase finale della radiazione dall’albo. L’articolo 2 è precisato ancora meglio dal “Testo unico dei doveri del giornalista” in vigore dal primo gennaio 2021 composto di ben cinque titoli dove appaiono fondamentali il titolo primo, “principi e doveri”, e il titolo secondo “doveri nei confronti delle persone”. In questo lungo tempo pare che il dibattito molte volte si sia incentrato sul “fare” il giornalista oppure “essere” un giornalista. Un discorrere continuo che nell’attualità sembra non aver deciso una direzione unica e univoca. Essere un giornalista è molto difficile perché frutto di tenacia, passione, convinzione, di studio continuo, di consapevolezza che l’attività vesta soltanto abiti composti di doveri perché svolge un importante funzione sociale. Il cittadino crede molto in quei giornalisti che con sudore hanno acquisito credibilità per questo tutte le mattine lo aspettano: solo lui può raccontare il fatto senza orientare le coscienze. Essere giornalista è fare in modo che la comunicazione sia valore aggiunto per creare delle giuste relazioni sociali. Con una semplice penna si riesce a flettere le anime di ogni singola persona per aiutarle a crescere e maturare. Papa Pio XI diceva: “Il potere più grande è quello di saper scrivere con saggezza e sapienza”. L’ Ordine dei Giornalisti, leggendo un po’ del suo lungo cammino, sembra andare in questa direzione oggi più che mai con tanta difficoltà, in presenza di strade ripide e sconnesse. Del resto il diritto costituzionale di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, come recita l’art 21,è sempre soggetto ad attacchi di caste, massonerie, alcune volte da pensieri oscuri e azioni mai lecite. L’Ordine dei Giornalisti per chi ci crede continua ad essere una diga fino ad ora invalicabile. Del resto abbiamo il dovere di raccontare la verità alla gente comune che è il nostro unico obiettivo di vita. Auguri per questi faticosi 60 anni.