Causò circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e, secondo le stime più attendibili, 2.914 morti
Ore 19.34 del 23 novembre 1980. Tra i lucani quella domenica è rimasto un momento della vita indelebile nel tempo. Non è la stessa giornata, di uno stesso mese di due secoli o millenni diversi. È il 39° anno di una tragedia che continua ad essere ricordata come la giornata più triste della vita di molti di noi. Il giorno più lungo di un terremoto più lungo e violento che si avvertì in tutto il Sud e Centro Italia, che provocò migliaia di morti e rovine ovunque, in Basilicata ed Irpinia. Novantasei interminabili secondi, 6.9 scala Richter, decima della Mercalli, che colpì una superficie di 17.000 chilometri, in cui si smossero le dolomiti lucane e non solo, e la terra che sussultava e ondulava fece venire giù tutto quello che era di vecchio ma anche nuovo e forse rifinito male. Epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza, e Conza della Campania, causò circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e, secondo le stime più attendibili, 2.914 morti. {module bannerInArticleGoogle} La nostra gente a correre verso ovunque fosse un riparo sicuro, portando con loro le poche e misere cose di una vita di stenti, di duro lavoro che per tanti, fino a quel momento, aveva dato un giovamento di dignità alle loro semplici famiglie. Tanta la paura, molti non avevano neanche la forza di bere un bicchiere d’acqua. In alcune pagine di questa triste storia ci sono quelle parole dei potentini: “Ci sono morti a piazza Prefettura.”; di coloro che scappavano per andare verso Rione Verderuolo per vedere cos’era successo alle proprie abitazioni e ai rispettivi familiari. Bella, Brienza, Castelgrande, Muro Lucano, Pescopagano, Potenza, Ruvo del Monte e Vietri di Potenza. A Balvano il terremoto non si fermò nemmeno davanti alla messa che si stava celebrando nella Chiesa di S. Maria Assunta. Non si fermò e schiacciò 77 persone, 66 bambini e ragazzini che stavano pregando. Le pagine di storia sono implacabili, quando raccontano che tra i terremoti del XX secolo registratosi in Italia, quello del 1980 in Basilicata, è al terzo posto per numero delle vittime dopo quello di Reggio Calabria e Messina, del 28 dicembre 1908, che fece 100.000 morti, e dopo quello che colpì Avezzano in Abruzzo il 13 gennaio 1915 che provocò 33.000 morti. Il terremoto del Friuli del 1976, che portò via 989 persone, e quello più recente dell’Aquila del 2009, che registrò il bilancio definitivo di 309 vittime, sembrano un leggero e drammatico scossone. Le istituzioni intervennero un anno dopo. Il 14 maggio del 1981: il parlamento approvò la legge numero 219 per la ricostruzione e lo sviluppo delle aree terremotate un fiume di danaro. Alla data odierna i conti indicano una spesa attuale di circa 26 miliardi di euro che ha contributo a risollevare poco i territori ma molto ancora c’è da fare. Gran parte del patrimonio edilizio è stato ricostruito in assenza di normative sismiche con lavoro soltanto di rafforzamento e adeguamento. Di recente è stato introdotto il cosiddetto sisma bonus per incentivare i lavori strutturali sugli edifici che consente un rimborso pari all’85 per cento delle somme spese. Un’incentivazione non ancora decollata del tutto. {module bannerInArticleGoogle} E poi il caso di molti comuni che pur dotati di un piano di emergenza comunale, non lo aggiornano; molto spesso è conservato in un cassetto senza provvedere ad una adeguata diffusione delle informazioni contenute. Oggi vogliamo ricordare solo i morti, gli sfollati, le tante famiglie dimezzate. Vogliamo lasciare in ombra il fatto che alla tragedia si sommò una ricostruzione che fu uno dei peggiori esempi di speculazione testimoniate dalle tante inchieste per le quali vennero coniate espressioni del tipo terremotopoli o irpiniagate. Soldi e risorse dirottate verso aree che non avevano diritto. Ma i Lucani hanno saputo rialzarsi da soli, e, di fronte ad una politica incolore, senza visione e competenza, hanno messo in campo la forza della loro volontà nata da una resilienza storica di questa terra. Oggi alle 19,34 per noi lucani vale la pena fermarsi e dedicare una preghiera a chi non c’è più perché se la luce non si spenta è stata anche con il contributo dei nostri morti.