Vincenzo Calabrese affida a una riflessione la sua amarezza per le indecisioni del governo sulla Fase 2
Il primo maggio di un lavoratore che è a contatto con la terra e con la produzione agricola locale ha il sapore della delusione e dell’amarezza, soprattutto in un giorno e in una ricorrenza civile che dovrebbe celebrare il lavoro e i suoi valori ma che invece, soprattutto in questo momento difficile, si è trasformato in un giorno in cui va in scena una celebrazione che ha tutto il sapore della retorica e della beffa.
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Vincenzo Calabrese è titolare di un’azienda agricola ereditata dal padre che sorge proprio nella fascia di terra che costeggia l’invaso di Monte Cotugno e che si trova a un tiro di schioppo da quel macroattrattore che tante speranze di rilancio turistico della zona aveva suscitato.
Da Vincenzo abbiamo ricevuto una riflessione su questo momento drammatico per il lavoro in generale ma soprattutto per chi ha creduto alla narrazione dell’economia verde, delle produzioni tradizionali e delle loro potenzialità. Di seguito la sua riflessione.
“Dopo due mesi di silenziosa accettazione di tutti i DPCM decido di prendere carta e penna e di affidare il mio disappunto al vento. Sono al capezzale della mia piccola azienda agricola che occupandosi di produzione, trasformazione e vendita di prodotti tipici fonda il suo reddito unicamente sulla circolazione di turisti – visitatori del nostro territorio. Con l’ultimo DPCM ho ricevuto, insieme a tutto l’indotto che ruota attorno alle tipicità e alle eccellenze agroalimentari italiane, e non solo, l’estrema unzione. Eppure, non più tardi di due mesi fa, erano in molti a decantare l’importanza del turismo rurale e delle eccellenze agroalimentari che, e qui vengo al punto, non vanno confuse con la grande distribuzione.
Considerando che questo comparto funge da traino per molti eventi, anche culturali, che completano le offerte territoriali, meritavamo più attenzione.
Ci hanno annoverati nelle attività non obbligate alla chiusura non considerando però che “le nicchie” non rientrano nella filiera della grande distribuzione, se non per essere utilizzate dalla stessa che inserisce nelle pubblicità spezzoni di vita rurale unicamente per confondere i consumatori.
Non chiediamo assistenza ma decisioni!
Chi ci governa ai vari livelli non può demandarci unicamente al parere tecnico – scientifico abdicando di fatto a quello che è il suo ruolo costituzionale.
La politica ha l’obbligo di cercare e produrre soluzioni. Fermare l’economia con queste modalità non fa che aggiungere morti ai morti.
Mangiare è un atto agricolo. Bisogna conoscere i collegamenti che esistono tra l’atto di mangiare e la terra. Quando il cibo nelle menti di coloro che lo mangiano non è più legato all’agricoltura, alla terra e alle mani di chi lo produce, si soffre di un’amnesia culturale pericolosa.
Quanto detto è il punto di vista di un agricoltore che, con ciò, si ritira sul capezzale della sua azienda per salvarla e non per piangerla,” piegandosi” al suo lavoro e affidando i suoi pensieri al vento, ancora una volta.”