Due cicli di incontri che inizieranno proprio il 31 gennaio e continueranno ogni domenica fino al 28 febbraio
Domani sarà il quarantesimo anniversario della morte del poeta lucano Leonardo Sinisgalli. Il poeta ingegnere, moriva il 31 gennaio del 1981 nella sua casa a Roma. Per rendergli omaggio la Fondazione Leonardo Sinisgalli di Montemurro ha organizzato due cicli di incontri online nell’ambito delle sue maggiori rassegne, il “Furor Sinisgalli. L’avventura delle due culture” giunto alla sua nona edizione, e “La Forgia di Sinisgalli”, all’edizione numero quattro. Sei appuntamenti a partire dal 31 gennaio e ogni domenica fino 28 febbraio, per concludersi martedì 9 marzo, giorno del compleanno, che vedono protagonisti rappresentanti delle principali istituzioni locali, intellettuali provenienti da atenei, enti di cultura, case editrici nazionali, sempre all’insegna della contaminazione tra le discipline e le forme artistiche, cara a Sinisgalli. Gli incontri saranno trasmessi in diretta streaming sulla pagina Facebook, il canale Youtube e il sito web della Fondazione Sinisgalli.
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Leonardo Rocco Antonio Maria Sinisgalli, più semplicemente Leonardo Sinisgalli è stato un poeta, saggista e critico d’arte italiano, noto come il poeta ingegnere o il poeta delle due muse, per il fatto che in tutte le sue opere ha sempre fatto convivere cultura umanistica e cultura scientifica. I poli geografici della vita di questo grande intellettuale lucano del novecento si allineano sull’asse Basilicata-Roma- Milano: Roma la città con i rapporti con i grandi poeti, pittori della scuola romana con la galleria d’arte “ la Cometa”; Milano con i suoi rapporti industriali, con il mondo della modernità. Per la sua versatilità è stato definito “un Leonardo del Novecento” in quanto è stato narratore, pubblicista, direttore artistico, direttore di riviste, documentarista, autore radiofonico, disegnatore. Nella sua “la dolce provincia dell’Agri” come definiva il territorio di nascita (era nato a Montemurro) compose, nel 1935, molte delle diciotto poesie che in seguito pubblicherà per le edizioni Scheiwiller. Quelle poesie si imposero prepotentemente all’attenzione di critici come Emilio Cecchi e De Robertis, che gli dedicò un famoso saggio sul primo numero di “Letteratura”. Un vero trampolino di lancio che gli permise di diventare una figura rilevante della civiltà poetica di quel periodo. Non solo poesia ma scritti anche su riviste di architettura e di arredamento, non tralasciando il suo interesse per gli allestimenti e la grafica.
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Per molti critici, Sinisgalli, che apparteneva alla generazione inquieta dei Montale, dei Moravia, dei Pavese, dei Vittorini, ebbe sempre un angoscioso travaglio intellettuale dettato dalle difficoltà di quegli anni di cambiamento. Una poesia, definita da molti studiosi, con un’amarezza di fondo e un senso di insoddisfazione continuo. Amarezza soprattutto verso la sua condizione di emigrante, costretto a lasciare la sua terra. Molto spesso nelle sue opere sono presenti aneddoti e luoghi della sua infanzia, del suo paese, talvolta elementi all’apparenza banali, ma che rispecchiavano la chiave della sua inquietudine e amarezza, che era il distacco forzato da casa. Aspetto fondamentale della sua poesia, e della sua prosa, fu dettato dalla formazione matematica, che influenzò non poco le sue opere, così come la geometria tanto che molti ebbe il merito di aver contribuito a sorpassare il dualismo tra cultura umanistica e scientifica, fu definito ingegnere per formazione, letterato per passione. La sua impronta maggiore la si trova nella rivista di Finmeccanica “Civiltà delle Macchine” dove è evidente quella sua idea di mischiare le culture: contaminare la cultura scientifica e quella umanistica, la famosa cultura politecnica del mescolamento ( cultura dell’impurità ).Insomma in un momento difficile, come quello che il mondo sta vivendo, ha ragione Mimmo Sammartino, presidente della Fondazione Leonardo Sinisgalli quando dice: “il pensiero corsaro di Sinisgalli avrebbe saputo suggerire percorsi inediti per rispondere ai molti dilemmi che inquietano i nostri giorni”.