A 40 anni dal terremoto dell’Irpinia 350 famiglie vivono ancora lì. Il Covid ha reso più grave la situazione
Ieri sera in seconda serata su Rai Uno è andata in onda la popolare trasmissione Tv7, nella quale è stato mandato in onda un servizio sul quartiere Bucaletto di Potenza. Ad oltre quarant’anni dall’anniversario della tragedia del terremoto del 23 novembre del 1980 tra Irpinia e Basilicata, 350 famiglie del rione vivono ancora nei prefabbricati tirati su «provvisoriamente» per dare un rifugio a quanti erano rimasti senza un tetto. Anni di promesse ed attese per le famiglie che ci vivono, ma nulla ancora è stato fatto concretamente per liberare il quartiere e dare una casa dignitosa.
Non è stato un problema di soldi: a quelli che dovevano essere spesi per la ricostruzione di recente si sono aggiunti 38 milioni messi a disposizione della Basilicata dalla legge sulla riqualificazione delle periferie. La Regione ha inoltre stanziato altri 15 milioni per costruire 150 alloggi. Sembrava la volta buona, mancava l’indagine geologica sui terreni su cui scavare le fondamenta, la relazione dei tecnici era attesa per marzo, è arrivato il lockdown e l’attesa per gli inquilini dei prefabbricati si è ulteriormente allungata. «Ma non è di sicuro una questione di soldi ma di volontà politica – affermano con rabbia i residenti – tutte le amministrazioni succedutesi alla guida della città, di destra e di sinistra, hanno usato questo posto per le loro promesse elettorali».
Ma non è soltanto il degrado a far paura, ma anche la disoccupazione che si è accentuata con l’emergenza Covid. In tanti hanno perso il proprio lavoro e non riesco ad arrivare a fine mese. La Caritas Promozione Umana di Potenza è impegnata quotidianamente con decine di richieste di aiuto per le famiglie in difficoltà. Giorgia Russo, responsabile della promozione umana, che è intervenuta ieri sera nel corso della trasmissione, ha spiegato il loro operato per aiutare i bisognosi: «I nostri servizi sono a disposizione di tutto il territorio della diocesi, in modo particolare abbiamo scelto di essere presenti nel quartiere per la sua tipicità. Tendenzialmente – prosegue Giorgia Russo – in questo anno di emergenza abbiamo dato risposte, attraverso la rete dei centri di ascolto a oltre 2000 famiglie. Il volto delle persone che incontriamo è molto cambiato, accanto alle storie di grande fragilità, da tempo in percorsi di aiuto, si sono manifestati bisogni economici e sociali che riguardano ampia parte del tessuto sociale della città e delle zone limitrofe. Spesso si tratta di autonomi, lavoratori dipendenti con contratti a termine, piccoli artigiani, stremati dalle conseguenze della Pandemia. Molto spesso, infatti, le richieste di aiuto attengono proprio la sfera lavorativa ed economica. È quindi molto complesso riuscire a fornire risposte tempestive e provare ad accompagnare queste famiglie in modo costante. Un grande aiuto è stato fornito dal nostro emporio della solidarietà a Tito Scalo, un vero e proprio market nel quale è possibile acquisire gratuitamente beni alimentari e non, con una tessera a punti. Questo tipo di aiuto – continua Russo – riesce ad andare incontro alle esigenze di molte famiglie, in una cornice più ampia di accompagnamento, che va dall’aiuto materiale ed economico, all’orientamento ai servizi o alle consulenze legali gratuite. Indubbiamente il sostegno economico resta il punto cardine di questa emergenza. Soprattutto per chi ha richiesto aiuto in relazione alla propria attività lavorativa (difficoltà di pagare utenze dell’attività commerciale, canoni di locazione, contribuzione Inps). Dopo un anno però, oggi risulta fondamentale ripensare le modalità di risposta ai bisogni, gli aiuti massivi sono stati utili per provare “a mettere una toppa”, ad arginare una situazione improvvisa. Oggi forse – conclude Giorgia Russo – bisognerà riprogrammare azioni di sistema (che coinvolgano svariati attori del territorio) per rendere sostenibile la fuoriuscita dall’emergenza».