Ieri l’anniversario a 23 anni dalla sua scomparsa. Ricordare un visionario del suo tempo che badava alla sostanza
Voleva portare il Polo della Libertà oltre il Polo: riunire quelli che votavano per il Polo con quelli che avevano votato l’Ulivo. In un intervento sul Giornale dell’epoca disse: “voglio rivolgermi a chi non vota, ormai il 25 per cento degli elettori. Voglio i voti dei centristi dell’Ulivo, in particolare i voti di Dini, commercianti, tabaccai. sindacati autonomi”. Aveva 64 anni quando l’8 febbraio 1999, alle cinque di mattina, moriva Giuseppe Tatarella. Quel triste giorno non riuscì a superare un intervento chirurgico al fegato a cui era stato sottoposto a Torino. Politico visionario, giornalista di grande cultura, allievo di Ernesto De Marzio( vicino alle posizioni dell’allora segretario Arturo Michelini), si iscrisse al M.S.I dichiarando: “non perché fossi un nostalgico del fascismo, ma perché un acceso anticomunista”. Nato a Cerignola, la città pugliese di Giuseppe Di Vittorio, fu eletto deputato nelle liste del Msi la prima volta nel 1979, nelle ultime consultazioni nel collegio di Bari, come candidato del Polo, aveva avuto oltre 40 mila voti e il 51, 3 per cento di preferenze. Fu tra fondatori del progetto di Alleanza Nazionale; fu Ministro delle poste e delle telecomunicazioni della Repubblica Italiana nel 1994 durante il primo Governo Berlusconi, di cui fu anche vice presidente del Consiglio dei ministri. Fu depositario di un ddl sulle frequenze televisive, ma la caduta improvvisa del governo fece naufragare la proposta. Capogruppo alla Camera di AN dal 1995 alla sua scomparsa. Nella legislatura successiva fu vice presidente della Commissione parlamentare bicamerale per le riforme istituzionali presieduta da Massimo D’Alema. Promotore del nuovo sistema elettorale regionale, detto appunto tatarellum.
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Si autodefinì «ministro dell’Armonia», la sua passione fu anche il giornalismo e negli anni ’60 fondò il quotidiano della sera “Puglia oggi” e diresse dal 1997 fino alla morte il Roma di Napoli. In quella redazione barese di via Putignani si è condiviso, momenti, storie, avvenimenti di grande respiro, semplici e importanti insegnamenti su come raccontare un fatto, come essere, più che fare, il giornalista. Voglio ricordarlo da giornalista, in fondo da politico i suoi passi sono ben scolpiti nell’animo e nel cuore di ogni italiano. Il giornalista Tatarella era un uomo dalla frase: “siamo conservatori e ce ne freghiamo di quello che fanno gli altri”. Il giornalista che guardava con interesse a Prezzolini, Papini, D’Annunzio, Croce, Gentile, Einaudi. Un giornalista di alta quota, mentre pensava era già al passaggio successivo mentre gli altri erano fermi a riflettere. Nella redazione diceva sempre che fare un giornale non era semplice mentre lo diceva nella sua stanza era ai contenuti. Bello quel suo pensiero indimenticabile: “faccio un giornale perché fare un giornale è da sempre l’inizio di chi vuole aprire una nuova stagione politica. Gobetti fece “La Rivoluzione Liberale”. Gramsci e Togliatti la rivista “Ordine Nuovo” prima del Partito Comunista”. Con il suo “Roma” il progetto di partenza per Tatarella era già sul tavolo: “In Italia i moderati, quelli che avvertono l’immaturità illiberale della sinistra, sono la maggioranza, oltre il sessantacinque per cento. Vanno motivati, gli va data una coscienza politica e prima ancora culturale. Era uno scippatore di idee per il suo giornale”. Con la sua morte, come di incanto siamo passati dal tramonto delle visioni, alla scapigliatura, a pensieri vacui, a conflitti che generano noia spazi vuoti arricchiti solo da pubblicità ingannevole.