Da frazione a municipalità. Cinquant’anni, il prossimo 4 maggio, per ricordare e non dimenticare, una autonomia conquistata, riconosciuta e poi promulgata con una legge regionale sottoscritta dal primo presidente della Regione Basilicata, Vito Vincenzo Verrastro. La legge numero 8 del 1973 indicò Paterno, bellissimo borgo lucano di 3 036 abitanti della provincia di Potenza, attraversato dal fiume Agri dai torrenti Oscuro, Chiasciumara e l’Aggia, Comune, distaccandolo da Marsico Nuovo fino ad allora propria frazione. Nella “terra dei padri”, secondo lo storico del tempo Giacomo Raccioppi, Paterno deriva “Paternicum” ossia “terra dei padri”.
Il prossimo 4 maggio si festeggerà una ricorrenza importante, la comunità si fermerà per riflettere e considerare il tempo trascorso. Grande emozione per lo storico appuntamento per l’attuale sindaco, Tania Gioia. Prima di un consiglio comunale, con il primo cittadino meglio dare voce all’avvenimento.
All’insegna del principio di educare alla memoria, cinquant’anni fa attraverso una consultazione la popolazione Paterno conquistò la sua municipalità. Il 4 maggio 1973 Paterno ottenne quell’ autonomia di pensiero e azione politica – amministrativa, con impegno e coraggio. Con lo sguardo dell’attualità, cosa ha creato di positivo e cosa ancora si dovrà fare per conservare al meglio le radici e la genesi di questa comunità?
Paterno è un piccolo Comune con una storia giovane ma dalle radici antiche. L’orgoglio dell’appartenenza identitaria è in assoluto il patrimonio intangibile più grande che possiede la comunità paternese. Un patrimonio fatto da capitale umano, storico, comunitario, ideologico. Questa ricchezza non va dispersa né vanificata in nome delle divisioni, dei personalismi, degli arroccamenti strumentali, ma va tutelata con la condivisione, la coesione, lo spirito di unità. Come per tutti i piccoli centri, la storia amministrativa di Paterno ha conosciuto periodi di crescita e di decrescita, tanto da punto di vista demografico quanto dal punto di vista politico, secondo un classico andamento sinusoidale. Ci sono stati infatti momenti particolarmente floridi, prosperi, che hanno portato Paterno anche ad avere un ruolo di visibilità e di centralità, ai quali hanno fatto da contraltare periodi di decrescita o di anonimato. Probabilmente si è peccato di continuità. È mancata quella fluidità e quell’elasticitá che consentono di riconoscere il valore e metterlo a sistema, invece di demolire per dover poi ricominciare.
Cosa si dovrà fare ancora?
Bisogna partire, anzi ripartire, dalle relazioni e, soprattutto, dalle persone che rappresentano il capitale sociale di ogni comunità. I luoghi sono fatti dalle persone che li vivono ed è alle persone che bisogna fornire risposte, anche piccole ma costanti. Mi piace molto fare mio un passaggio de ‘Le città invisibili’ di Italo Calvino: ‘D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda’. Ecco, costruire risposte per onorare il presente, il passato e l’idea di futuro.
Di questo importante ricordare, lo sforzo maggiore pare essere quello di spiegare alle nuove generazioni i motivi, le circostanze e l’impegno che portarono Paterno a diventare comune con il sigillo della legge regionale numero 8 promulgata dal primo presidente della regione Basilicata Vito Vincenzo Verrastro.?:
Dice bene, lo sforzo maggiore va proprio nella direzione che Lei ha esplicitato. Io e i miei collaboratori crediamo molto nel potere fondativo ma anche curativo che la memoria, e nello specifico la memoria storica, può avere per una comunità. Noi siamo chiamati a essere custodi di questa eredità testamentaria, ma anche in un certo senso traghettatori del suo portato e dei suoi valori. In un certo senso siamo chiamati a proiettare e a veicolare, nel presente e nel futuro, il suo insegnamento quasi liturgico, a ‘infuturare’, per utilizzare un termine tanto caro a Dante, la sua pulsione intima e mistica. Tutto questo nella convinzione che la memoria di ciò che è stato, l’afflato epico che ha accompagnato lotte, rivendicazioni e conquiste non siano certo una reliquia da contemplare ma un monito affinché la collettività paternese sappia essere sempre più una comunità educante in grado di autodeterminarsi e di orientare il proprio futuro attraverso la condivisione, la collaborazione solidale e un senso di responsabilità comune.
Un pensiero alla fine sorge spontaneo: Ha ancora senso parlare di autonomia locale? E’una forma di libertà collettiva vera, oppure si limita a una mera modalità organizzativa e distributiva del potere sul territorio. Se essere Comune è un vero patto di libertà tra istituzioni pubbliche e società civile alla fine con quali armi si difende tutto ciò?
Domanda bella e complicata, per questo molto intrigante. Innanzitutto, esordirei con il dire che, nonostante le dinamiche e le evoluzioni dei tempi, ha sempre senso parlare di autonomia locale. Ha sempre senso perché il principio autonomistico trova sublimazione e concretizzazione in quella che rappresenta la nostra Norma Suprema, il Testo Sacro in senso laico di ogni cittadino italiano, cioè la Costituzione, e poi a cascata nell’ ordinamento giuridico che da essa discende. La nostra Costituzione, che rappresenta un po’ la Norma fondamentale, riconosce e disegna l’architettura autonomistica e le comunità locali, definendone anche la conformazione politica. Però l’impianto autonomistico risente del mutare del tempo, delle variabili politiche, economiche, culturali, in quanto prima ancora di rappresentare un fenomeno giuridico rappresenta un fenomeno sociale. Di conseguenza il nostro ordinamento e la nostra stessa Costituzione, seppur rigida, generano risposte calibrate sui cambiamenti. Si pensi, ad esempio, alla Riforma del Titolo V della Costituzione, al decentramento amministrativo, alla devoluzione delle competenze o, in ultimo, alla trasformazione delle Province in Enti amministrativi di secondo livello. Come si difende quel patto di libertà collettiva che ha ispirato i nostri Padri costituenti nel riconoscere le autonomie locali? Si difende fondamentalmente onorando quello che è stato il principio cardine ispiratore della visione autonomistica e cioè il solidarismo, andando al di là del mero localismo e puntando su sussidiarietà, strategie integrate e creando reti di connessione.
Un Sindaco che crede e non dispera; del resto un vecchio adagio Thomas Menino, ex sindaco di Boston diceva: “Il vero privilegio di essere sindaco sta nella possibilità di essere il prossimo di tutti”. Il pensiero e il linguaggio di questo sindaco pare andare in questa direzione.