Un uomo perbene che entrava in punta di piedi nelle case dell’italiani con la famosa trasmissione Portobello. “È stata consumata l’infamia goccia a goccia”. Lo scrisse dal carcere di suo pugno ad una sua carissima amica. Uno dei più clamorosi casi di malagiustizia del nostro paese, ma anche un calvario umano che durerà anni. Una storia di grande umanità, di emozioni mancate raccontate nel suo libro, in maniera semplice e precisa, con grande autenticità di pensiero, dalla figlia Gaia.
“Testa alta, e avanti” edito da Mondadori in libreria da marzo scorso. Il giorno è il 17 giugno 1983. Gaia, quattordici anni, esce di casa di primo mattino con lo zaino in spalla, è il giorno del suo esame di terza media. Procede spedita verso la scuola e non sa che, poche ore prima, le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in una camera dell’Hotel Plaza e arrestato suo padre per associazione camorristica e traffico di droga.
Quando la televisione lo ritrae all’uscita del commissariato, stretto tra due carabinieri, le manette bene in vista, Gaia smette di parlare, perché suo padre è Enzo Tortora, uno dei più famosi presentatori della televisione italiana. In poche ore, e per mesi, Tortora diventa l’oggetto di una violenta gogna mediatica. Piero Angela, il primo ad arrivare a casa, grande amico di Enzo Tortora, dice a Gaia accarezzandole la testa: “Andra tutto bene, vedrai”.
Tanti racconti con particolari mai resi noti. Una bugia, una montatura, un’oscena calunnia, un’assurdità piovuta addosso ad una famiglia e un uomo di altri tempi ma mai fuori tempo. I momenti dell’arresto, del trasferimento al carcere di Regina Coeli e successivamente in quello di Bergamo. Lo scambio di lettere con Gaia che per la prima volta prende carta e penna per scrivere rivolgendosi a quel padre mai visto per il suo lavoro ma voluto e ritrovato in questa triste storia. Ci sono gli attimi della visita in carcere dopo aver ottenuto l’autorizzazione perché minorenne e l’abbraccio con la solitudine di un uomo prelevato da un’esistenza tutto sommato tranquilla. C’è l’incontro con un uomo con la paura di non essere ascoltato, di fallire nel dimostrare la sua innocenza. Vita privata, vita politica e vita lavorativa raccontati con una sensibilità notevole. Poi il ritorno in televisione il 20 febbraio 1987 e la sentenza della Cassazione del 13 giugno 1987: la libertà e moralità ritrovata. Un senso di liberazione che Gaia Tortora non sente pienamente perché troppe le ferite rimaste aperte. Ma dietro l’angolo apparve all’improvviso quel “andrà tutto bene”; quella brutta malattia che in breve tempo rese il suo fiato più corto, il suo vigore, ma non la sua innegabile ironia. Morì il 18 maggio 1988. Voglio ricordare quelle parole finali pronunciate nel settembre 1986 ai giudici del processo d’appello che lo assolveranno. Circa venti minuti di straordinaria oratoria, intrisa di logica, emotività e forza morale: “Sono innocente”. Spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi”.