Vince il tarantino Diodato. Dal Sud migliore testo e interpretazione. 70 anni di festival
Qualcuno tempo fa diceva: “se vuoi capire il nostro paese devi guardare Sanremo”. Moltissimi anni fa Ennio Flaiano, posando il suo sguardo sul Festival, ebbe a dire: “Non ho mai visto niente di più anchilosato, rabberciato, futile, vanitoso, lercio e interessato”. Si potrebbe aggiungere che Sanremo è una grande fiction che ogni anno racconta lo stato di salute del paese, senza l’ambizione di rispecchiarlo. Le pagine di storia raccontano di un festival nato probabilmente per caso, udite in Toscana.
Nell’estate del 1950 s’incontrarono, a Montecatini, dov’erano andati per le cure termali, il maestro Giulio Razzi, direttore della Rai, e il concessionario del Casinò di Sanremo, Pier Busseti. Busetti stava cercando iniziative per rilanciare la “città dei fiori” e Razzi, pare, avesse bisogno di nuove trasmissioni per vivacizzare la Rai. Sicché, fra una bevuta e l’altra di acqua miracolosa, spuntò l’idea: e se facessimo un festival della canzone italiana? Cinque mesi più tardi, di lunedì, alle 22,30 del 29 gennaio 1951, nacque il primo “Sanremo” tenuto a battesimo dagli abituali frequentatori del Casinò. Prezzo del biglietto d’ingresso: cinquecento lire. Cena e canzoni, comprese. Una sola orchestra quella di Cinico Angelini e tre partecipanti: Nilla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano. Poi l’appuntamento cominciò a decollare fino ai tempi di oggi, diventando luogo ricco di memoria per la vera canzona italiana. Gli appuntamenti degli anni cinquanta e sessanta furono ricchi di emozione e tensione. C’è quella pagina di storia che racconta come nel 1958, ottava edizione, trionfò la canzone “Nel blu dipinto di blu” cantata da Domenico Modugno, autore della musica con parole di Franco Migliacci, e da Johnny Dorelli, che diverrà la canzone italiana più celebre di sempre, con oltre 22 milioni di copie vendute in tutto il mondo e cinque settimane di permanenza alla prima posizione della hit-parade statunitense. Altri furono momenti preziosi e di valore per la canzone italiana con conduttori che hanno lasciato il segno, vallette più belle, cantanti e testi di canzoni mai cadute nell’oblio della nostra memoria. Molti sono stati i momenti imbarazzanti che hanno segnato la storia della competizione canora italiana, tanti più o meno indimenticati e indimenticabili. Gaffe definite, da alcuni glaciali; tanto per ricordare quelle ravvicinate:
Sanremo 2015, Carlo Conti, nell’annunciare il vincitore, tra Giovanni Caccamo e Rakele, di una delle sfide delle nuove proposte, sbagliò il nome: “Vince Rakele”. Poi si scopri che il vero trionfatore era Caccamo. Nel 2003 Pippo Baudo intervista Sharon Stone e le chiede di suo figlio, adottato 3 anni prima. “A chi somiglia?” Per finire all’edizione del 2020 alla dichiarazione sessista di Amadeus, nella rituale conferenza stampa, quando presentò al pubblico Francesca Sofia Novello, la fidanzata di Valentino Rossi e co-conduttrice di una delle serate, affermando di “averla scelta per la bellezza, ma anche per la capacità di stare accanto a un grande uomo, stando un passo indietro”. Per non parlare del caso Morgan sul palco venerdì notte. Negli ultimi quindici anni, tanti testi e cantanti sono finite nel dimenticatoio probabilmente per assenza di passione, emozione o puramente di contenuti validi. Molti interpreti scomparsi o isolati nel loro mondo.
L’edizione 2020 ha fatto registrare nuove scintille. Quel 63% di share registrato all’entrata dei Ricchi e Poveri, ha fatto capire come la vera attrazione sia la nostalgia, il ritorno di artisti veri che hanno scritto e interpretato canzoni e musiche di tempi di una felicità e spensieratezza che in Italia non c’è più. Alcuni testi, però, dell’edizione 2020, si ricorderanno. Bello quello della grande Rita Pavone, mai stata tra i vincitori: “Non hai mai saputo spezzarmi, travolgermi. Resto qui nel fitto di un bosco. E il tuo vento non mi piegherà”. Una donna, vera, riservata e di grande coraggio artistico. Una linea seguita nel 2017 da Fiorella Mannoia che presentò un testo di alto contenuto, dal titolo “che sia benedetta”, un grande inno alla vita. Oggi tutti la cantano, ma del vincitore di quell’edizione pochi ricordano il nome. Ma Antonio Diodato, nato ad Aosta, cresciuto a Taranto, 38 anni, lascerà il segno. Dopo il bellissimo testo di “Adesso” di Sanremo 2018 eccolo con “Fai rumore” dedicato alla sua Taranto tanto deprezzata e abbandonata dove le bellezze, capacità e passioni si sprecano quotidianamente come carta straccia. Fai rumore dice il tarantino Diodato: “Per quanto io fugga torno sempre a te che fai rumore qui”. Interessante anche il testo di Michele Zarrillo, di Rionero in Vulture, “Nell’estasi o nel fango”: Ma resto ancora in piedi, sia nell’estasi o nel fango. Non mi importa, quanta forza servirà”. Tante donne presenti, oltre 40, pochi uomini, appena 14. Alla fine a Sanremo qualcosa si è mosso e come al solito il Sud ha dato un contributo importante. Su tutto resta vivo il pensiero di Mogol: “la musica di un tempo era immortale. Quella di oggi è per giovani e si brucia presto”.