A 28 anni dall’uccisione del giudice Falcone, di sua moglie e degli uomini della scorta
Erano le 17.58 di sabato 23 maggio 1992. Lungo l’autostrada A29 ,che collega Palermo all’aeroporto di Punta Raisi, all’altezza dello svincolo di Capaci, (sul territorio di Isola delle Femmine), le auto su cui viaggiano il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta saltano in aria. Oltre al magistrato e alla moglie perdono la vita gli agenti di scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. Furono 23 i feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.Cinque quintali di tritolo posizionata in una galleria scavata sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci per una vera e propria dichiarazione di guerra allo Stato. Sono passati 28 anni ma il tempo non mitiga le emozioni, non nasconde i pensieri di quella dolorosa giornata che vide persi per sempre uomini con il dovere dello stato alto, direi altissimo.
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Le pagine processuali raccontano come in seguito alla sentenza della Cassazione che confermava gli ergastoli del Maxiprocesso (30 gennaio 1992), la “Commissione provinciale” di Cosa Nostra decise di dare inizio agli attentati: per queste ragioni, nel febbraio 1992 venne inviato a Roma un gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani (Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Sinacori, Lorenzo Tinnirello, Cristofaro Cannella, Francesco Geraci), che avrebbe dovuto uccidere Falcone, Martelli o in alternativa Costanzo, facendo uso di armi da fuoco. Qualche tempo dopo però Riina li richiamò in Sicilia perché voleva che l’attentato a Falcone fosse eseguito sull’isola. Nell’aprile 1995 iniziò il processo per la strage di Capaci, imputati: Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Filippo e Giuseppe Graviano, Michelangelo La Barbera, Salvatore e Giuseppe Montalto, Matteo Motisi, Bernardo Provenzano, Benedetto Spera, Benedetto Santapaola, Giuseppe Madonia, Mariano Agate, Giuseppe Lucchese, Antonino Giuffrè, Salvatore Buscemi, Francesco Madonia e Giuseppe Farinella (accusati di essere i componenti delle “Commissioni” provinciale e regionale di Cosa Nostra e quindi di avere avallato la realizzazione della strage), Leoluca Bagarella, Giovanni Battaglia, Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Raffaele e Domenico Ganci, Pietro Rampulla, Antonino Troia, Giuseppe Agrigento, Salvatore Sbeglia, Giusto Sciarrabba e i collaboratori di giustizia Santino Di Matteo, Gioacchino La Barbera, Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Antonino Galliano e Calogero Ganci (accusati di avere partecipato a vario titolo nell’esecuzione della strage e nel reperimento di esplosivi e telecomando che servì per l’esplosione).
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Nel 2008 la prima sezione penale della Cassazione chiuse questo brutto capitolo della storia d’Italia con diverse condanne ma anche alcune assoluzioni. Su questo evento si è scritto parecchio, da leggere il libro del giornalista Saverio Lodato, “Ho ucciso Giovanni Falcone. La confessione di Giovanni Brusca” e “I 57 giorni che hanno sconvolto l’Italia. Perché Falcone e Borsellino dovevano morire?” di un giornalista inglese John Follain. Qualche giorno prima di morire Giovanni Falcone disse: mi hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano. Ancora prima della mafia, Falcone era stato pugnalato dalla politica più becera.