Il Sole tradusse dal latino l’antico Inno al santo patrono di Potenza. Il segno di una fede matura
C’è un legame profondo che unisce Nicola Sole al popolo potentino, e non riguarda le pur importanti frequentazioni che il poeta di Senise ha avuto con gli intellettuali e i politici più autorevoli del capoluogo lucano, ma il rapporto stretto che lo lega alla religiosità della gente. È poco noto, infatti, che il popolare Inno a San Gerardo, che ancora oggi si canta nei giorni dedicati al Santo, il 30 maggio e il 30 ottobre, fu tradotto dal latino proprio da Nicola Sole.
Non è molto chiara la circostanza, se cioè la traduzione dell’antico inno dal latino fosse una commissione specifica o un tributo che il poeta volle offrire al santo patrono della città che lo ospitò per alcuni anni, ma di certo la sua fatica letteraria fu ben accetta dai potentini e dal clero che, da allora in poi, introdusse nella liturgia della festa di San Gerardo la versione vulgata dal Sole e musicata da maestro Arno.
Di questa circostanza parla il sacerdote, teologo e saggista don Gerardo Messina, che spiega come prima della traduzione del Sole l’inno venisse cantato in latino nelle celebrazioni vespertine della liturgia nella cattedrale, e che era stato musicato dal musicista potentino Francesco Stabile.
A San Gerardo e a Potenza il Sole è legato anche dalla figura dello scultore potentino Antonio Busciolano al quale dedicò il prezioso Idillio “La fanciulla e l’artista”, preceduto da una dedica all’artista del quale ricorda il capolavoro, “L’Immacolata”, che campeggia sull’altare maggiore della chiesa del Gesù Nuovo a Napoli. Sarà proprio il Busciolano, scultore di immagini sacre di notevole valore, a scolpire il San Gerardo di marmo che è custodito nel tempietto a Potenza, venerato da tutta la città.
L’adozione da parte del clero potentino e dell’intera città dell’Inno soliano dedicato al santo patrono, a cui la città è legata da secoli e che ne rappresenta l’identità religiosa più profonda, testimonia la popolarità e la stima che il mondo culturale del capoluogo nutriva per Nicola Sole, che nei salotti degli intellettuali potentini era di casa. Durante il suo soggiorno a Potenza il Sole frequentò la casa di Giacinto Cafieri insieme a Vincenzo D’Errico e al poeta Giuseppe Regaldi. Quanto questo mondo influì sulla formazione culturale e poetica del Sole lo diremo altrove, ma qui ci basta notare quanto l’impegno culturale e politico del nostro poeta fosse calato nei più fervidi salotti di matrice liberale e costituzionale potentini.
La traduzione dell’Inno a San Gerardo testimonia anche un altro importante aspetto della personalità del Sole: la sua profonda e radicata spiritualità, solidamente costruita sulla formazione cattolica dello zio prete, don Giuseppe Antonio, al quale fu affidato dopo la morte del padre Biagio nel 1831. Di questa spiritualità e formazione religiosa si potrebbe avere un’idea sbagliata, giudicandola scontata e retorica. Così non fu! A parte la sua adesione politica al neoguelfismo giobertiano, che coniugava le aspirazioni unitarie con il primato del magistero morale e religioso del Papa, il Sole aveva forte il senso di una religiosità operosa e nient’affatto oleografica, men che meno borghese e distaccata dai bisogni della gente.
Quando tra il 16 e il 17 dicembre 1857 la Lucania fu scossa da un terribile terremoto, che fece tra le 3 e le 4 mila vittime, il Sole scrisse:
Che val, Signor, che tutta erri confusa
Per la città la gente e si addolori,
Se al grido altrui, quanto al soccorso, è chiusa!
Che val che di pietà fremano i cuori,
Se la man de’ frementi ancor non piove
Sui rovesciati alberghi i suoi tesori!
Erano i versi del celebre componimento “Pel tremuoto in Lucania”, dedicato proprio a quel catastrofico evento. In quella circostanza il Sole promosse una raccolta di fondi destinata alle genti lucane colpite dal sisma, ricavati dalla vendita della raccolta de I Canti che fu pubblicata nel 1858 e che fu sostenuta economicamente da Michele Ungaro. Al giudice di Chiaia che sostenne la pubblicazione, consentendo così la devoluzione della vendita delle copie ai terremotati lucani, il Sole dedicò il suo più importante componimento, L’Inno al Mare Jonio, con una epigrafe intitolata appunto a Michele Ungaro “in cambio di gratitudine”.
Ma non sono solo questi versi a mostrare la maturità spirituale del Sole. La sua fede poderosa e convinta lo porta ad affrontare i temi sacri con il rispetto dovuto al grande mistero che essi rappresentano e ad usare il cesello delle parole per trasformare in versi le sue convinzioni religiose e i suoi studi teologici che, evidentemente, maturarono nel seminario di Tursi dove lo zio sacerdote lo inviò nei primi anni della sua formazione.
Come cesello di scultore raffinato il Sole nel luglio del 1855 compose l’inno “A Maria Immacolata”, con il quale rappresentava in versi il dogma dell’Immacolata Concezione che solo pochi mesi prima, nel dicembre del 1854, Pio IX aveva proclamato. Sarebbe un errore voler ridurre questo componimento, ricco della sapienza teologica che spinse la chiesa a proclamare quel dogma, a una mera composizione occasionale. In esso sono esposti i presupposti teologici del dogma mariano. Potente è l’eloquenza poetica dei versi che spiegano la natura incontaminata dal peccato di Maria:
Come di luce un limpido
Raggio che al sol reddìa
Intatto da le tenebre
Che traversò per via,
Così serena e pura
Varcavi il dì mortal,
Intatta da la dura
Necessità del mal.
È poeticamente ben riuscita questa immagine dell’Immacolata come raggio di luce emanato dalla grazia divina, che torna puro alla sua origine dopo aver attraversato, senza esserne contaminato, il cammino delle tenebre.
A proposito della devozione cristiana, del misero peccatore desideroso di grazia divina, alla Vergine Immacolata, Sole scrive:
Immacolata! E il misero,
Che non ricorse invano
A Te pensosa e tenera
D’ogni lamento umano,
Oggi di qual corona
T’infiorerà l’altar?
Può la mortal canzona
Fra gl’inni tuoi suonar?
Non si può qui non pensare al Dante del XXXII canto del Paradiso, con la famigerata e preziosa preghiera di San Bernardo alla Vergine:
Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ‘ mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ ali. (Par XXXII)
La potenza dell’intercessione mariana, teologicamente sorretta, è chiara a Nicola Sole che, lungi dal celebrarla solo esteticamente, ne eleva a poesia il contenuto, avendo sicuramente negli occhi la grande immagine del sommo poeta. È così, con questa intenzione, che il più illustre poeta dell’800 lucano si avvicina ai sacri misteri. Con la coscienza dell’erudito e con l’entusiasmo del poeta, che alla poesia e solo alla poesia offre il suo ingegno.
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