Numerosi i colleghi minacciati, proposte di legge sulla tutela del diritto di cronaca e della professione bloccate
La giornata mondiale della libera informazione in un momento storico così importante, tra epidemie e guerre, non ha sortito la dovuta e giusta attenzione. C’è una importante riflessione fatta dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che per l’occasione ha dichiarato: “informazione è il termometro della democrazia di un Paese”. Giusta verità che mette in risalto come tante volte, proprio a causa di un’informazione poco corretta, poco appropriata, meno opportuna e tantissime volte poco esatta, tenta di minare la democrazia di una nazione e la libertà di pensiero del singolo individuo. Eppure, quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite proclamò per il 3 maggio la Giornata mondiale della libertà di stampa, lo fece per ricordare a tutti i governi il dovere di sostenere e far rispettare la libertà di parola sancita dall’articolo 19 della dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Quella fu anche l’occasione per celebrare l’anniversario della Dichiarazione di Windhoek, documento sull’importanza fondamentale dei principi in difesa della libertà di stampa, del pluralismo e dell’indipendenza dei media scritto da una sessantina di giornalisti africani per lo sviluppo di una stampa africana indipendente e pluralista organizzato a Maggio 1991 a Windhoek (Namibia).
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Va giornalmente ricordato ai governi la necessità di rispettare il loro impegno per la libertà di stampa impegnandosi a raccontare fatti, evitando, ancora una volta, di orientare il pensiero della gente. I dati continuano ad essere non in linea con l’obiettivo primario. Nella classifica mondiale per la libertà d’informazione, l’Italia scivola dal 41esimo posto al 58esimo, (ultima in Europa) perdendo ben 17 posizioni in un solo anno, con numerosi colleghi minacciati, alcuni dei quali sotto scorta e con un parlamento bloccato sulle proposte di legge di tutela sul diritto di cronaca e della professione. Avanti a noi, con una informazione corretta e plurale, troviamo paesi come Armenia, Macedonia del Nord, la Romania e il Suriname. Risultiamo ancora avanti alla Corea del Nord, all’Iran ed all’Afghanistan, Messico. Dato preoccupante è quello dei giornalisti reclusi in diversi paesi del mondo.
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L’ultimo rapporto, pubblicato, alcuni mesi fa dall’ONG Reporters without Borders che occupa di stilare un rapporto sulla libertà di stampa mondiale, evidenzia come attualmente, sono 478 i giornalisti reclusi in carcere in diversi Paesi del mondo: 53 in Myanmar (nel 2020 erano solo 2), 43 in Vietnam, 32 in Bielorussia e 31 in Arabia Saudita. Tra questi 478, 60 sono donne. Un dato da tenere sotto osservazione è quello riferito all’informazione durante le guerre. In quella attuale i dati evidenziano come la Russia si posizioni al 155esimo posto e al 107esimo troviamo l’Ucraina. Sia in pace che in guerra i dati si possono discostare di poco o molto ma resta la scia di un’informazione poco obiettiva e lontana da ogni pressione politica od economica. Una libertà di stampa vera permette al cittadino di formarsi una propria opinione basata su fatti che il giornalista ha il dovere di donare all’individuo e su cui si può basare un vero dibattito pubblico. Il ringraziamento di Papa Francesco appare punto vero di riflessione: “rendo omaggio ai giornalisti che pagano di persona per servire questo diritto. Un grazie speciale a quanti coloro, con coraggio, ci informano sulle piaghe dell’umanità”.