Mario Rossi ha 22 anni, frequenta l’Università e ha una media discreta. Proprio oggi deve sostenere un esame, per il quale studia da circa un mese e mezzo. In questo lasso di tempo ritiene opportuno saltare l’allenamento di calcio del martedì, preferisce declinare uno o due inviti e non fa ritornoa casa per il ponte. Mario è preparato (forse non padroneggia appieno una “puntina” del programma), perciòsi presenta in seduta, con le giustificabili esitazioni iniziali. L’iter prevede che l’esame si svolga in due momenti: un assistente pone domande su buona parte del programma, in seguito il Professore potrebbe aggiungere altri quesiti o ritenere sufficiente quanto già sostenuto. Mario argomenta correttamente la prima e la seconda risposta e tentenna sulla terza, dopodiché il docente decide di non proseguire e lo boccia. Però il giovane non si abbatte, accetta l’esito negativo e decide di ritentare l’esame al successivo appello, previsto dopo 20 giorni dal precedente. Dopo un susseguirsi di ripetizioni e approfondimenti, il ragazzo risulta per la seconda volta non idoneo. A questo punto Mario si avvilisce, mette in discussione le proprie capacità e precipita in un vortice nero di insicurezze e paure. «Perché non supero questo cavolo di esame? Dove sbaglio? Il problema sono io o la commissione?» sono le domande che Mario rivolge a se stesso quando si estranea dalla realtà e si auto-analizza. I suoi colleghi di corso nonché amici lo confortano, infatti alcuni superano il medesimo esame soltanto dopo diversi intoppi e peripezie (richiedono ricevimenti e delucidazioni al Professore), prendendo tra l’altro uno “striminzito 18”. Mario alla fine supera l’esame dopo quattro tentativi e accetta il 19 con la felicità di chi prende 30 e lode.
Quanti studenti vivono esperienze simili a quella di Mario? Mario Rossi, infatti, non è altro che uno pseudonimo di Giuseppe, Anna, Chiara, Sara, Nicola e tanti altri giovani universitari, i quali affrontano un percorso di studi triennale/magistrale lineare e corretto, ma rallentano improvvisamente per un indefinito tempo a causa di uno o più esami. Alcuni non demordono, altri, magari più fragili e sensibili, ritengono di essere incapaci, addirittura inferiori rispetto ai colleghi dello stesso dipartimento, perdono la grinta e s’ingarbugliano nella ragnatela dell’ansia. È facile per un esterno giustificare la bocciatura con «Non hai studiato abbastanza», tuttavia la preparazione incide relativamente sul voto. Mario, infatti, adotta dall’inizio del suo percorso lo stesso metodo di studio, ottenendo voti commisurati ˗ a detta dei professori ˗ all’esposto, ma durante l’ultima sessione la carrellata di 26-27-28-30 subisce una battuta d’arresto. Dunque, date le circostanze, è prevedibile imputare al Professore la bocciatura ingiusta di Mario. Infatti, ammesso e concesso che Mario non abbia studiato scrupolosamente per il primo appello, pare assurdo che la preparazione sia insufficiente al terzo tentativo e valutata solo 19 al quarto. Nell’Università, dove sorge talvolta una gara tra chi ambisce al voto più alto, i 18-20-25 etc. sminuiscono lo studio preparatorio, l’impegno e la dedizione applicati, sicché gli studenti sono catalogati in meri numeri: «Ciao, sono X e valgo 25» «Ciao, X, io sono Y e invece valgo 29». Eppure il fine del percorso triennale/magistrale è formare e istruire in vista di una professione futura, ma, considerate le premesse, in alternativa la matricola troverà impiego in “addetto a giocatore di Carta alta carta bassa o Sette e mezzo”. A questo punto il focus della questione non è tanto la diatriba Professore vs studente (lungi mettere in discussione la professionalità e competenza del titolare di cattedra), quanto, invece, chiarire e ridimensionare i criteri di valutazione. Assodata e ribadita in sede di esame la conoscenza degli argomenti, potrebbe essere una congeniale soluzione eliminare quella rigida, vecchia, obsoleta scala numerica e introdurre il giudizio «Promosso/Bocciato». Tale sistema sradicherebbe il seme della competizione, placherebbe le ansie prima e durante la sessione e valorizzerebbe equamente lo studio, l’impegno e la dedizione dello studente. Al termine degli studi il laureando non è né inferiore né superiore rispetto al collega X, possiede, invece, le stesse conoscenze e informazioni. Si giochi a Carta alta carta bassa e a Sette e mezzo in un’altra sede, ci sono fin troppi Mazzieri in circolo.
Viviana Di Fiore