Dieci anni fa veniva ucciso a Monaco di Baviera il giovane ingegnere informatico potentino Domenico Lorusso. Un omicidio ancora senza colpevoli e dove la squadra investigativa bavarese non ha intenzione di archiviare il caso. Un evento delittuoso che si verificò nel parco pubblico di Monaco di Baviera, in un angolo poco illuminato dei giardini che costeggiano il fiume Isar, all’altezza del Deutsches Museum, la mattina del 28 maggio del 2013. L’episodio avvenne mentre il potentino Lorusso andava in bicicletta con la propria fidanzata Gilda di 28 anni. Entrambi tornavano a casa: lei dal lavoro, lui da una lezione di tedesco. Nella circostanza un uomo, si dice di circa trenta cinque anni, sputò in direzione della fidanzata scatenando l’ira di Domenico Lorusso che chiese spiegazione del comportamento all’uomo. L’uomo estrasse subito un coltello colpendolo ripetutamente fino alla coltellata fatale al cuore. Negli anni ci furono sollecitazioni alle autorità italiane per avere notizie sulla vicenda sia da parte del fratello, il penalista Paolo Lorusso e della sorella che scrisse direttamente al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella lamentando la lentezza, in alcuni casi l’inattività delle autorità italiane senza ricevere alcuna risposta. La notizia positiva è che la polizia bavarese non ha interesse alcuno ad archiviare il caso. Nell’ultimo anno pare che la squadra investigativa abbia riesaminato tutta la documentazione in possesso: oltre 100 faldoni per un totale di mezzo milione di informazioni. La revisione sembra aver portato alla luce oltre nuovi spunti investigativi. All’attenzione delle autorità i referti sanitari. Il sospetto e che l’omicida si sia ferito nella colluttazione ma che per la medicazione e che sia ricorso a strutture sanitarie non segnalate. Le autorità di polizia attendono anche esiti di un nuovo incrocio di dati genetici con tutte le banche mondiali visto che le stesse sono in possesso del Dna dell’omicida e di alcuni dati personali: statura media, fra 1,70 e 1,80, cappotto scuro lungo fino alle ginocchia se non alle caviglie, borsa a tracolla scura. Ma la strada appare ancora lunga per dare un nome e cognome al colpevole della morte del trentunenne potentino, educatore salesiano e arbitro di calcio.
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