La poesia questa grande sconosciuta. Inascoltata da sempre per avere cuori deboli e orecchie sottomessi soltanto a rumori più che alle buone melodie. Gli eruditi indicano la poesia come letteratura in forma metrica con tanti stili che risulterebbe quasi impossibile elencarli tutti. La realtà è ben diversa. La poesia è un’arma affilata utilizzata per trasmettere, con brevi versi, qualcosa di grande passionalità che riesce ad emozionare la parte più intima del nostro essere. La poesia è tale quando usa parole giuste e riesce a saper parlare di noi e come noi siamo. Anzi come vorremmo parlare di noi. Il richiamo è forte quando si leggono le oltre quaranta brevi poesie di Maria Pia Ciancio poetessa di origine lucana di San Severino Lucano. Uscito a giugno scorso, “D’Argilla e neve”– edito da Ladolfi, il pamphlet è composto da versi in cui prevale l’ingrediente della riservatezza, a volte la malinconia si fa sostanza ma nel profondo c’è il sentimento forte del ricordo, tante volte del ritorno nella terra di Lucania. “Nel disordine dell’aria talvolta tornano i ricordi a prendersi lo spazio della luce”. A fare da cornice a bel quadro le cinque poesie tutte in dialetto lucano.La più bella?: Tienimi supa i cunucchi cum na vota, quann jeru vagnona e a capa senza pinsieri…”. Si dice sempre che quando un’emozione ha trovato il suo pensiero e il pensiero ha trovato le parole allora si può dire che siamo in presenza di una poesia vera. Quando un verso ispira l’umana attenzione significa che va al di là della ragione, commuove perché va al di là della comprensione. La poesia di Maria Pina Ciancio è tutto questo. La sua anima le parla in gran segreto, un’anima che si apre, un eco che chiede un abbraccio forte e deciso alla sua terrache mai dimenticherà:
La mia scrittura nasce da un bisogno e una necessità. In particolare, da un bisogno di appartenenza e di riappropriazione dell’identità perduta. Quello che oggi conosco è che si può lasciare un paese , ma un paese non ti lascia mai.