C’era una volta la vacanza estiva. Aveva un nome obsoleto in disuso, “la villeggiatura”, durava dai due ai tre mesi. Molti partivano ad inizio giugno primi di luglio e tornavano a metà ottobre. L’autostrada era una fila di Fiat 1100, 127, 500 e 128, Maggiolini e Prinz, nessuno guardava chi avesse la Bmw, la Mercedes o l’Audi, perché gli status symbol allora non esistevano. Una vacanza lunga dove la nostalgia assaliva i pensieri quando scattava l’ora di tornare a scuola e di rivedere gli amici del quartiere e del tuo paese; tante volte non ricordavi neppure quasi dove abitassi. Nelle spiagge c’erano i juke box dove si potevano ascoltare, per poche Lire, canzoni di grandi gruppi musicali, cantautori che sapevano scrivere testi ancora oggi con forti richiami, perché stranamente attuali. Una Coca Cola e un pallone arricchivano il valore dello stare insieme, condividendo momenti ricchi di sorrisi e racconti di amici e amiche. Si parlava molto; il silenzio di un cellullare non era ancora padrone del nostro tempo. Tante le parole dette che non avevano nessun significato con l’arrivo dell’inverno. Nessuno aveva da studiare per l’estate, salvo qualche volontario che si dilettava a sfogliare qualche libro di avventure o qualche simpatico giallo, giusto per non perdere l’abitudine con la lettura. Unico vero problema era non bucare il pallone, non rompere la bicicletta e “nun te scassà ‘e ginocchie” giocando a pallone altrimenti quando rientravi a casa “avive pure o’ riesto “. Tempi di festa unica dove specialmente di sera tornando stanchi morti si sperava ancora che succedesse qualcosa. Il venerdì chiudevano gli uffici, i papà partivano per riunirsi nel fine settimana con le famiglie. Era il tempo dello scrivere le cartoline che venivano mandate ad amici e parenti che arrivavano ad ottobre, ma era un modo per augurare “buone vacanze da”. La penna e un pezzo di carta riuscivano a dare colore ai pensieri del cuore e dell’animo di una persona. La grafia individuava il titolare vero del pensiero. Un tempo popolato da persone vere, piene di valori. Il tempo era essenziale perché la società guardava alla famiglia, al rispetto. La solidarietà e l’amore erano i capisaldi di una casa ben costruita. Quando finalmente si tornava a scuola il primo tema era sempre quello: “Parla delle tue vacanze”. Fiumi di parole arricchivano le pagine raccontando quello che era stato, quello che poteva essere, alla fine la nostalgia si faceva canaglia per un amore sfuggito e un cuore spezzato. Oggi appare un deserto intorno a noi. La vacanza dura talmente poco che, quando torni non sai se sei partito o te lo sei sognato e se non vai ai Caraibi a Sharm o ad Ibiza sei un poco di buono quasi da emarginare. Il paradosso alla fine è che hai tante cose da fare che forse è meglio se non parti proprio, ti stressi di meno. Insomma, una vacanza estiva semplice, meno viziata ma molto felice. Certe volte avere tanto, tutto significa avere niente nelle mani e nel cuore. Purtroppo la normalità sarà tardi a tornare se non togliamo dalle nostre teste il virus di continuare ad essere viziati, ricchi solo di orgoglio e illusione. La verità? Siamo diventati adulti e maturi grazie a quelle estati vere.
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