Il futuro rubato è quello dei bambini del Congo. Tornate in classe e studiate la storia di Iqbal Masih
È una sequenza temporale dettata dal fato, probabilmente, quella che riguarda i giovani in questo scorcio di inizio autunno, nelle piazze di tutto il mondo per il Friday for Future e poi in fila nei negozi per l’imminente Black Friday. Gli appuntamenti sono vicini e danno l’idea di un mondo variegato e a volte contraddittorio, non solo per le giovani generazioni, ma anche per tanti adulti che, come coccodrilli in preda a raptus, piangono e si battono il petto, sentendosi chiamati in causa dal dito accusatore dei figli che inondano le piazze e i monitor dei tg di tutto il mondo.
Si sa i giovani sono così, si infiammano facilmente, specie quando gli ideali sono grandi e le parole scritte sugli striscioni e urlati nei megafoni sono quelle che sanno di grandi eventi, di appuntamenti con la storia. Futuro, ecosistema, destino, generazione, pianeta, estinzione, potere, sostenibilità, contestazione. Sono parole dalla portata epocale in realtà, a testimoniare che qui siamo ai livelli alti della politica, tanto che la voce degli strikers è giunta nelle felpate sale dell’ONU dove Greta Thunberg, paladina della contestazione, è stata ascoltata al summit sul clima. Non si tratta mica di fare il solito sit in davanti a Montecitorio o a Palazzo Chigi come nelle contestazioni nostrane che si giocano su parolucce come riforma, scuola, decreto e così via!{module bannerInArticleGoogle}
I giovani hanno fatto strike, dunque, e non solo nel senso di sciopero ma anche e soprattutto nel senso che il termine ha nel gioco del bowling quando i birilli vanno tutti a giù in un solo colpo. Ad essere buttata giù è la civiltà del consumo nella quale questa generazione è nata, ma anche l’intero establishment mondiale messo sul banco degli accusati per aver “sperperato il futuro dei propri figli”.
In realtà questo grande sciopero mondiale è un grande conflitto fra generazioni. Nulla di nuovo se vogliamo, perché da un punto di vista sociologico tutte le grandi proteste giovanili, dal ’68 in poi, sono state dettate dal conflitto col conformismo dei propri genitori. Ma oggi siamo di fronte alla globalizzazione della contestazione, assistiamo “all’Internazionale del conflitto generazionale” che si gioca sul tema dello sviluppo sostenibile, formula che definisce il cambiamento in base al quale lo sfruttamento delle risorse e lo sviluppo tecnologico siano tali da soddisfare i bisogni attuali senza intaccare quelli futuri.
Per questo Greta ha urlato all’ONU: “avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre parole vuote. Le persone stanno soffrendo, stanno morendo. Interi ecosistemi stanno collassando. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa. E tutto ciò di cui parlate sono soldi e favole di eterna crescita economica? Come vi permettete?”
I soldi, appunto! Tutto gira intorno ai soldi, quei soldi che servono per gli smartphone, per le auto potenti, per spostarsi velocemente da un paese all’altro per portare il proprio verbo ambientalista, per comprare indumenti, tecnologia e accessori, quelli dei quali nessuno, neanche i giovani a quanto pare, sa fare più a meno. E quei soldi, infine, che servono per comprare cibo, il cibo che abbiamo in abbondanza ma che manca in altre parti del mondo.
Potremmo a questo punto chiedere ai giovani in piazza semplicemente di cominciare a dare il buon esempio e di intraprendere “stili di vita” più ecosostenibili cominciando dal poco. Allora vediamo cosa succederà il prossimo 22 novembre quando il mondo del consumismo celebrerà l’apoteosi dello shopping compulsivo di massa con il Black Friday, il venerdì nero che, partito dagli USA come inizio degli acquisti natalizi sfrenati dopo il giorno del ringraziamento, si è esteso in tutto il mondo sviluppato. Questa giornata dei grandi acquisti, che vede file interminabili davanti ai negozi fino a notte fonda, sarà seguita dal Cyber Monday, giornata dedicata solo agli acquisti tecnologici con scontistica elevata, e preceduta dalla manifestazione del 27 settembre della terza giornata del Friday for Future.
[bt_quote style=”border-left” width=”0″]Ora ai nostri giovani strikers bisognerebbe ricordare come e dove vengono prodotti quegli articoli che vanno a ruba in questi giorni, le cui multinazionali hanno delocalizzato in Cina e in paesi poveri per fare economia su due pilastri: il basso costo del lavoro, che tradotto significa sfruttamento, e la possibilità di evadere i vincoli ambientali che in quei paesi sono, diciamo così, “più eludibili”.[/bt_quote] Un po’ come la plastica che differenziamo e poi smaltiamo in Cina che, a sua volta, ce la restituisce buttandola in mare. Bel riciclo! Cina e India, insieme agli africani Camerun e Indonesia, sono responsabili del 90% dei rifiuti che arrivano in mare, e sono paesi nei quali il lavoro, anche quello minorile, è più drammaticamente sfruttato, senza alcun rispetto per i famigerati diritti umani.
E a proposito di Cyber Monday sarebbe opportuno approfondire il tema dello sfruttamento di bambini e adulti del Congo dove questi ultimi vengono sottoposti a violenze e sevizie per estrarre coltan dalle sabbie dei loro territori, che serve per costruire i nostri telefonini, e nutrire i “signori della guerra” che fanno affari con le multinazionali che ci offrono a prezzi stracciati la tecnologia che poi acquistiamo nei nostri Black Friday e Cyber Monday.
Mi piacerebbe che i giovani di tutto il mondo sviluppato facessero strike (e questa volta vuol dire solo sciopero) per dire basta alla schiavitù dei lavoratori del Congo o di qualunque altra parte del mondo, dove si produce a bassissimo costo tecnologia e materiale di uso quotidiano che acquistiamo nei nostri store, on line o in città. Mi dispiace cara Greta, ma il futuro rubato non è quello tuo ma quello di questi ragazzi ridotti in schiavitù!
Allora sarebbe il caso di promuovere una grande manifestazione di sensibilizzazione per boicottare la produzione delle multinazionali che sfruttano e schiavizzano, e poi inquinano pure. Magari farlo di domenica, così il venerdì si va a scuola. E si studia questo meccanismo perverso perché chi comanda davvero l’economia ci vuole ignoranti!
E magari si studia anche la storia di Iqbal Masih, il giovane pakistano che la lotta allo sfruttamento dei bambini l’ha fatta davvero, ma non ha avuto modo di parlare ai potenti della terra in mondovisione dalle stanze dell’ONU, perché è stato assassinato! Perché voleva studiare, perché voleva boicottare il mercato dei signori dei tappeti pakistani che schiavizzavano i bambini.