Sacerdote colto e umile, mistico e maestro. Per lui un’unica missione: instaurare omnia in Christo
Come può un sacerdote nato un secolo fa, e morto da trent’anni, essere ancora punto di riferimento spirituale e di fede per tutti coloro che lo hanno conosciuto e amato? Amare Cristo e gli altri, studiare e pregare, essere fedele all’insegnamento della Chiesa e non cercare gloria e onori davanti agli occhi del mondo. In una parola, essere prete e basta. Questo fu don Egidio Guerriero, nato il 30 settembre del 1919 da un’umile famiglia di Senise ed entrato a soli 12 anni nel seminario regionale di Potenza.
Umiltà e cultura hanno trovato in questo parroco di periferia una sintesi perfetta, e gli hanno consentito di essere sempre “moderno” nella sua azione pastorale, pronto a seguire ogni passo della chiesa cattolica e a farsi illuminare dalla luce di qualunque finestra la essa aprisse sul mondo. Ed era un periodo di grandi cambiamenti quello che don Egidio ha incrociato nella sua vita sacerdotale, con il Concilio Vaticano II che disegnava una chiesa nuova, che si lasciava alle spalle il vecchio clericalismo e si apriva a un nuovo ruolo per i laici e a un nuovo rapporto con il mondo.{module bannerInArticleGoogle}
Divenne sacerdote il 4 luglio del 1943, mentre l’Italia si apprestava a vivere uno dei periodi più laceranti e drammatici della sua storia, e viveva sulla propria pelle le conseguenze del fascismo e della guerra, con lo strascico di povertà e di miseria che al Sud era ancora più angosciante. Annunciare la parola di Dio nei piccoli paesini di una Basilicata dimenticata e più povera dei poveri era impresa ardua che richiedeva testimoni pazienti e credibili. Fra San Chirico Raparo e San Giorgio Lucano passò i primi anni del suo sacerdozio per approdare, nel 1971, nella sua Senise dove c’era da ricostruire una comunità lacerata e scottata dalla controtestimonianza di chi lo aveva preceduto.
Don Egidio lo fece con fede instancabile e con coerenza assoluta, con la pazienza che solo un pastore innamorato di Cristo e della chiesa poteva osare.
“Instaurare omnia in Christo”! Se dovessi sintetizzare in un motto l’opera di don Egidio a Senise userei la celebre frase di San Pio X, “rinnovare tutte le cose in Cristo”. La sua opera pastorale a Senise, fortemente cristocentrica, ebbe due grandi pilastri: la fedeltà a Cristo e la fedeltà alla chiesa cattolica, che si tradussero nello studio instancabile dei documenti ecclesiali e nell’adorazione quotidiana del Santissimo Sacramento.
Giunto a Senise, per rilanciare la figura del sacerdote e aprire a tutti le porte della chiesa, diede vita alla comunità sacerdotale, una forma innovativa di convivenza dei sacerdoti che condividevano la vita quotidiana e il progetto pastorale. Fu un esempio che è durato nel tempo e che dura ancora ancora oggi nella comunità di Senise. [bt_quote style=”border-left” width=”0″]La canonica, che fino a quel momento era stata “la casa del prete”, divenne davvero la casa di tutti e moltissimi sacerdoti si formarono alla sua scuola condividendo quella straordinaria esperienza di vita pastorale. La comunità di Senise con don Egidio era un seminario permanente, una scuola di fede e di spiritualità sempre aperta a laici ed ecclesiastici.[/bt_quote]
Negli anni del Concilio don Egidio studiava con amore e intelligenza i documenti che da esso scaturirono, applicando sempre con zelo e fedeltà le innovazioni che il Vaticano II aveva introdotto. Studiava di notte pur avendo una vista cagionevole, tanto che, essendo stato operato agli occhi, dovette portare la benda per un lungo periodo. Non potendo leggere ascoltava Radio Vaticana o pregava i confratelli di leggere per lui. E mentre la sua mente si nutriva degli insegnamenti della chiesa il suo spirito si elevava con la preghiera e con la musica.
Non si separava mai dalla coroncina del Rosario, e nella sua Fiat 500 portava sempre una sediolina in legno pieghevole che usava per sedersi in luoghi isolati, spesso nella natura o nel cimitero, per leggere e pregare con i salmi. Conosceva bene, e ne soffriva, la sua indole un po’ orgogliosa e irascibile, e per controbilanciarla spesso si stendeva col volto a terra davanti al Santissimo Sacramento, quando si ritirava in chiesa per pregare nella solitudine. In lui la sapienza si univa all’ascesi e alla mistica, come dimostra il fatto che in Quaresima, nella discrezione che lo contraddistingueva, si caricava di cilicio.
Nel suo zelo per la chiesa ha avviato molti al sacerdozio favorendo l’ingresso in seminario di tanti giovani, pagando di tasca propria anche la retta a chi non poteva permetterselo. Non era per nulla attaccato ai soldi, infatti, e soleva ripetere: “sono nato povero, voglio morire povero”.
E così fu perché morì, l’8 giugno del 1989, stringendo tra le mani la sua unica, grande ricchezza: Gesù Sacramentato.