Lasciamo che le candele nelle case brillino di speranza, fino a quando la peste sarà finita
In questi giorni di grande tensione e di dramma collettivo che la nostra Italia sta vivendo a causa Covid-19, il virus che sta mietendo morti e piegando l’economia mondiale, sono partite diverse campagne di socializzazione virtuale o, per così dire a distanza. Lo scopo è quello di sostenere la misura dell’isolamento sociale che molti, diligentemente, hanno scelto di osservare e tanti altri, con incoscienza, hanno invece scelto di eludere, con espedienti e scuse di vario genere. In questi stessi giorni ci sono molteplici iniziative tese a rafforzare l’unità tra noi italiani e stringerci insieme per non sentirci soli di fronte a un nemico così insidioso e letale.
I balconi sono diventati il luogo da cui comunicare con gli altri e lo si fa attraverso il linguaggio più universale che possa esistere che è la musica. Quella stessa musica che sempre più spesso si trasforma nell’inno che noi italiani amiamo di più, l’Inno di Mameli.
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Si sa che noi di italica stirpe amiamo cantare in coro “fratelli d’Italia” e che ci emozioniamo quando con la mano sul petto ripetiamo a tempo “siam pronti alla morte”. Che poi, pronti a cotanto destino lo siamo o meno non importa, ma la cosa ci dà forza e ci aiuta nei momenti più difficili. E allora perché non cantarlo? Se la cosa ci fa sentire più forti e più uniti in questa difficile battaglia perché non lasciarci la libertà di cantare insieme l’inno nazionale? E perché non cantare dai balconi per sentirsi meno soli e meno distanti, e perché no, un po’ più forti di fronte a una tragedia così assurda? Eppure c’è chi è sceso in strada e ha imbracciato il solito bazooka per puntarlo proprio verso quei balconi da cui la gente si affaccia sul mondo da alcune settimane a questa parte. C’è chi si è stancato delle preghiere in comunione virtuale, sul web, o dai balconi delle case e dice “basta pregare, le gente muore”, o in maniera più sprezzante “spegnete Radio Maria”.
Dovrebbe essere un fatto positivo quello di vedere gente che canta dai balconi perché ciò dimostra che i tanto vituperati contatti virtuali non bastano, che la gente ha bisogno di sentire la carnalità dell’altro, il suo fiato, il suo sguardo.
Ma tant’è, la caccia al balconaro è partita e il motivo è che “c’è poco da cantare mentre la gente muore”. Sarebbe vero se il canto si praticasse in situazione di normalità, ma ora siamo nel pieno di una pandemia e il canto, anche quello apparentemente spensierato e gioioso, diventa il gesto attraverso il quale si esorcizza la paura, si combatte il terrore del contagio invisibile, si crea un ponte attraverso cui si stringono le voci laddove non possono stringersi le mani, e si abbracciano le note laddove non si possono abbracciare i corpi. I ritrovi serali dai balconi, a spegnersi la paura a vicenda, sono il segno del desiderio di essere comunità. Dal balcone si applaude a chi è in prima linea, a chi ce la fa a superare la peste e a chi purtroppo non ce la fa, a chi, come i poliziotti e gli agenti, desidera l’abbraccio della propria gente e sfila con le auto di ordinanza lungo la strada con l’altoparlante che gracchia l’inno nazionale, quelle vecchie trombe che graffiano i timpani e il cuore. Dal balcone si prolunga lo spazio stretto della propria intimità familiare. Dal balcone si prega per unire le proprie voci nella richiesta unica che la peste finisca e che non si seppelliscano più morti.
Si racconta che quando il regime comunista polacco, che perseguitava i cattolici, arrestò il cardinale Stefan Wyszyński i suoi fedeli si univano a lui in preghiera tutte le sere alla stessa ora, mettendo come segno una candela accesa alla finestra e recitando il “Regina Mundi” alla madonna nera di Czestochowa.
La preghiera aiutò un popolo disgregato a sentirsi unito e la fiamma di quelle candele tenne accesa la speranza fino alla vittoria.
Lasciate allora che le candele continuino a brillare anche nelle nostre case, sui nostri balconi e sulle nostre finestre, che raccolgano la luce che viene dalla preghiera universale contro una peste che sta mettendo in ginocchio il mondo.
Non sparate su quelle candele, lasciate che brillino di speranza!