La Pasqua in tempo di Coronavirus ci insegna a desiderare l’essenziale, con i sandali ai piedi
Quella di quest’anno è una Pasqua speciale, segnata dal terribile virus che sta mietendo ormai oltre un milione di vittime in tutto il mondo. È una Pasqua contraddistinta dal segno dell’assenza, della mancanza, del deserto che accompagna da sempre la quaresima cristiana. La liturgia cattolica osserva un’antica tradizione secondo cui nella V domenica di quaresima viene velato il crocifisso per sottrarlo alla vista dei fedeli, mentre in alcuni luoghi di culto ad essere velate erano un tempo tutte le statue e le cose belle, immagini e tele, che si trovavano nelle chiese, in Germania si usava addirittura velare l’altare.
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Ma perché questo gesto? Si tratta di una sorta di “catechesi della sottrazione”, una catechesi visiva che ci ricorda che il pensiero e lo spirito del cristiano devono concentrarsi sull’essenziale, sulla Parola e sull’Eucarestia, sul mistero d’amore che si celebra durante la liturgia. Questa catechesi dell’assenza e della mancanza ci ricorda che la Pasqua è la rivelazione per eccellenza, è la luce che sovrasta le tenebre, il velo che si alza per rivelare il volto del risorto e la via che porta alla salvezza, la via lucis che segue il messaggio pasquale e che guida alla rivelazione della Pentecoste. Il passaggio dal buio alla luce è il segno più fulgido della Pasqua, il passaggio dall’isolamento del sepolcro alla gioia della compagnia di Emmaus.
In questo periodo di isolamento forzato, a causa del contagio da Covid-19, questa catechesi dell’assenza, della mancanza, è diventata così forte da permeare completamente le nostre vite. Non possiamo partecipare alle messe, ai riti della settimana santa, alla lavanda dei piedi e alla via crucis, non possiamo fare il precetto pasquale, con la confessione sacramentale davanti al sacerdote, e non possiamo ricevere l’Eucarestia, la comunione.
Siamo tutti nella stessa condizione degli ammalati di Coronavirus che si trovano in isolamento o, addirittura, in terapia intensiva. È una situazione unica nella storia recente quella dell’assenza della comunione sacramentale, che è il centro e la sostanza stessa dell’unità della chiesa, è ciò che accomuna il Corpus Christi che nell’antichità cristiana indicava il corpo di Gesù stesso, il corpo eucaristico e la chiesa, corpo mistico, come ci spiega Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis. Se pensiamo che persino i morenti sui campi di guerra avevano il conforto del sacerdote, il fatto che tanti ammalati in questi giorni muoiono nelle terapie intensive senza nemmeno il sacramento dell’Eucarestia fa venire i brividi.
Eppure questo isolamento, questa mancanza, solo in parte mitigata dalle tante celebrazioni on line, ci restituisce il senso profondo della Pasqua, perché la mancanza dei riti e delle liturgie a cui eravamo abituati ce ne fa riscoprire l’essenzialità, l’insostituibilità, ci fa vivere il pane azzimo della precarietà e dell’incertezza, della cintura ai fianchi e dei sandali ai piedi, per essere sempre pronti a fare la volontà di Dio che ci chiama al coraggio in questo momento storico di sofferenza collettiva. In questo momento il Cristo risorto ci è velato agli occhi del corpo ma chiaramente svelato agli occhi della fede.