Le parole di Wojtyla all’Angelus del 29 maggio del ’94 svelano il senso di quanto sta accadendo al mondo
Sono in molti in questo periodo di pandemia da Covid-19, a riflettere, o far finta di riflettere, sul senso di questo grande flagello che sta colpendo il mondo senza esclusione di sorta. Ma nessuno, e dico nessuno, ha provato a trarne un significato profetico, una lettura che andasse al di là della solita logica del castigo a cui l’uomo sottopone se stesso violentando la natura, oppure, come fanno i più sprovveduti, dell’immancabile ricorso al complotto, ordito poi da chissà chi e per quali oscuri disegni universali.
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A gettare luce sul senso di questo terribile momento è l’insegnamento di San Giovanni Paolo II. La sua vita ci parla di una sofferenza privata che divenne segno profetico della Provvidenza e linguaggio di Dio, che parla all’uomo di salvezza, di croce e di sangue innocente versato per tutti.
Una vita costellata di sofferenze. Il tristemente famoso attentato del 13 maggio 1981, quando fu colpito all’addome da un proiettile partito dalla pistola del turco Mehmet Ali Ağca, in seguito al quale fu sottoposto a un intervento chirurgico che durò più di 5 ore. Nel 1992 gli fu rimosso un tumore benigno al colon e negli anni successivi fu vittima di infortuni che lo tennero spesso in ospedale, tanto che scherzosamente definì il Policlinico Gemelli la terza sede del Papa, dopo il Vaticano e Castel Gandolfo.
La più bella catechesi sulla sofferenza Giovanni Paolo II ce la offrì all’Angelus di domenica 29 maggio 1994. Di ritorno dal Gemelli, dopo una lunga operazione all’anca che lo costrinse da quel momento in poi a servirsi del bastone, si affaccio alla finestra del suo studio per l’Angelus, proprio in una domenica di maggio e pronunciò il suo più grande discorso sul valore profetico della sofferenza.
“Vorrei che, attraverso Maria, sia espressa oggi la mia gratitudine per questo dono della sofferenza nuovamente collegato con il mese mariano di maggio. Voglio ringraziare per questo dono. Ho capito che è un dono necessario. Il Papa ….. doveva soffrire: come ha dovuto soffrire tredici anni fa, così anche quest’anno.”
Si riferiva alla sofferenza per l’attentato in Piazza san Pietro per il quale Wojtyla non ha mai cercato mandanti o responsabili segreti ma ha perdonato da subito il suo attentatore fino ad andare a trovarlo in cella. Una visione di misericordia lontanissima dal nostro tempo in cui, a tutti i livelli, la preoccupazione principale sembra essere sempre quella di cercare un colpevole. Per la crisi economica, per le malattie, persino per la pandemia. Giovanni Paolo II, nel dolore cercava invece il senso della propria vita, del proprio ministero petrino, il disegno della Provvidenza che guida ogni passo dell’uomo.
“Ho capito che devo introdurre la Chiesa di Cristo in questo Terzo Millennio con la preghiera, con diverse iniziative ma ho visto che non basta: bisognava introdurla con la sofferenza, con l’attentato di tredici anni fa e con questo nuovo sacrificio. Perché adesso, perché in questo anno, perché in questo Anno della Famiglia? Appunto perché la famiglia è minacciata, la famiglia è aggredita. Deve essere aggredito il Papa, deve soffrire il Papa, perché ogni famiglia e il mondo vedano che c’è un Vangelo, direi, superiore: il Vangelo della sofferenza, con cui si deve preparare il futuro, il terzo millennio delle famiglie, di ogni famiglia e di tutte le famiglie.”
E a soffrire oggi è la grande famiglia dell’umanità che, a 15 anni dalla sua morte e nel ventesimo dell’ingresso nel terzo millennio, vive uno dei momenti più dolorosi dalle due guerre mondiali.
[bt_quote style=”border-left” width=”0″]In questi eventi San Giovanni Paolo II leggerebbe sicuramente i tratti del Vangelo della sofferenza, quel vangelo “superiore” nel quale l’umanità dovrebbe ricercare il senso del proprio cammino.[/bt_quote]
In questo momento in cui gli anziani muoiono soli, senza il conforto dei propri cari, il virus sfida la medicina e la scienza mortificando l’uomo nella sofferenza, togliendogli il respiro, l’aria, il calore della mano dei famigliari, gli occhi amorevoli dei figli, fino a degradarlo nella sua dignità, proprio ora l’umanità vive le doglie del parto. Forse la sofferenza di cui parlava Giovanni Paolo II non è ancora terminata e da qui, da questo tremendo momento, prende a nascere il nuovo millennio! Di certo tutto questo un senso deve averlo!
E ancora oggi, come in quel maggio del ’94, il Papa che ha aperto all’umanità la porta del terzo millennio, se potesse parlare ai grandi del mondo parlerebbe ancora del Vangelo della sofferenza e del suo valore profetico. “Capisco che era importante avere questo argomento davanti ai potenti del mondo. Di nuovo devo incontrare questi potenti del mondo e devo parlare. Con quali argomenti? Mi rimane questo argomento della sofferenza. E vorrei dire a loro: capitelo, capite perché il Papa è stato di nuovo in ospedale, di nuovo nella sofferenza, capitelo, ripensatelo!”
Ecco, ripensiamolo! Alla radice di questa grande prova dell’umanità, c’è il Vangelo della Sofferenza di San Giovanni Paolo II.