Nella rappresentazione sacra di Senise un ospedale con medici e infermieri che lottano contro il Covid
“Tu per salvare gli uomini dall’insidioso contagio/ con carità mirabile/ del mondo ti fai medico”. Basterebbero queste poche battute per dare senso al Natale speciale di questo 2020. Sono le parole dell’Inno che la chiesa recita durante la novena che precede la notte di Natale e che la tradizione ha tramandato da secoli. Sono proprio queste parole, con un leggero adattamento, che campeggiano sul cartiglio che gli angeli reggono sulla capanna del presepe allestito nella chiesa Madre di Senise.
Qui il Natale 2020 è rappresentato in maniera plastica e perfettamente aderente, non solo alla tradizione più autentica del presepe, ma anche al significato più profondo che in questo terribile anno ha assunto la santa natività. La grotta con la sacra famiglia rimane sempre al centro della scena ma in un’ala del presepe è rappresentata la scena divenuta a tutti tristemente familiare, raffigurante un ospedale e un pronto soccorso, con il via vai di ambulanze e medici insieme a uomini bardati in tenuta anticovid.
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Il messaggio centrale della natività e quello dell’emergenza umanitaria che ha messo in ginocchio il mondo si integrano e si fondono perfettamente, si rispettano ciascuno nel proprio valore umano e cristiano e si illuminano a vicenda della luce della speranza che solo il mistero dell’Incarnazione può dare. E questo mistero illumina e dà conforto al dramma della sofferenza che, in maniera discreta e pulita, emerge dalle inconfondibili sagome dell’ospedale.
L’annuncio che recano gli angeli, così, è quello inconfondibilmente cristiano del Dio che si fa uomo, che per l’uomo sofferente si fa medico, taumaturgo e salvatore al tempo stesso, il Dio che guarisce il corpo e l’anima. È così che il mistero dell’Incarnazione assume il suo significato più autentico, quello dell’Eterno che entra nella storia, nell’hic et nunc dell’umanità che vive la sofferenza della propria condizione e che per questo diventa l’hic et nunc di Dio, il qui e ora in cui il cielo si piega a toccare la terra per portarvi l‘unica speranza che reca la luce vera.
In un momento in cui la speranza come virtù è messa a dura prova, l’annuncio dell’angelo diventa realtà, come spiega in maniera mirabile Benedetto XVI nella sua enciclica dedicata appunto alla speranza.
“Spe Salvi facti sumus – nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi (Rm 8,24). …. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.” (SS. 1)
Quello che stiamo vivendo in questo momento storico è sicuramente un cammino faticoso, fra i più difficili della storia dell’umanità, e può essere rischiarato non da una speranza precaria e passeggera, ma solo da una speranza vera e duratura, quella che porta il bambinello di Betlemme che all’uomo dà la certezza della salvezza. Per i cristiani la speranza non è una virtù del futuro ma è una certezza che cambia il presente, e l’incontro con il Gesù del presepe è “l’incontro con il Dio vivente e così l’incontro con una speranza che è più forte delle sofferenze della schiavitù e che per questo trasforma dal di dentro la vita e il mondo.” (SS 4).
L’insidioso contagio che ci sta mettendo a dura prova rischia di renderci schiavi della paura e della disperazione, ma la luce che promana dall’umile capanna di Betlemme ci rende liberi già oggi, liberi di accettare la sofferenza e di faticare per superarla e tornare a vivere la nostra libertà di uomini, guariti dalla speranza che salva.
Il presepe che il parroco don Pino e i soliti laboriosi collaboratori parrocchiali di Senise hanno allestito nella chiesa Madre è una vera e propria catechesi, grazie alla quale si comprende il significato storico dell’Incarnazione, del Verbo che si fa carne, per salvare dal contagio del peccato l’umanità sofferente.
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