Se frughi tra le nuvole in cerca di sogni trovi i ricordi! In un mondo in cui il presente, sempre più virtuale, si impone con prepotenza, al punto di inghiottire persino il futuro, l’esercizio della memoria è un segno di vita, una sfida per continuare ad esistere come uomini capaci di toccare e gestire il proprio tempo.
L’operazione letteraria di cui parliamo porta la firma di Vito Briamonte, scrittore che ha i piedi per terra e la testa nella nuvola feconda del racconto letterario. Già autore di cinque romanzi, ha dato recentemente alla luce una nuova pubblicazione dal titolo “C’è un paese tra le nuvole che si chiama Senise”, nato dalla sua penna ma partorito insieme a un’intera comunità, che è appunto quella di Senise, della quale ha raccolto voci, nomi e volti grazie a un’operazione corale che ha coinvolto tanti paesani da ogni parte del mondo. Grazie ai social e ai contatti diretti ha lanciato un’operazione amarcord su nomignoli e personaggi che hanno attraversato la storia di Senise, poi ha buttato giù una serie di aneddoti personalmente vissuti, direttamente o indirettamente, e li ha sapientemente ricostruiti e riproposti sotto forma di brevissimi racconti. Ne è nato uno splendido affresco di umanità ormai perduta, come un polittico di narrazioni tenute insieme da un unico contesto storico-ambientale che ha prodotto il miracolo che solo la letteratura può produrre, quello di far rivivere un paese che le nuvole della nostalgia tengono fermo in una sorta di mondo parallelo, che è quello dei ricordi.
Il testo di Briamonte non è solo un esercizio di ricordi, ma molto di più. Le chiavi di lettura suggerite dall’autore e dalla prefazione di Filippo Gazzaneo sono la lente attraverso cui guardare il susseguirsi di storie e nomi che scorrono lungo le pagine. Briamonte ci parla esplicitamente di una Spoon River senisese, nella quale l’ispirazione nasce, come per l’autore della famigerata antologia di Edgar Lee Masters, dalla rassegna di tombe del cimitero di Senise, dalle quali riprendono vita le storie di ognuno dei personaggi. Gazzaneo, invece, parla di nostalgia nel senso etimologico del termine, cioè desiderio sofferente per il nostos, cioè il ritorno a casa, nel luogo culla del proprio destino.
Da queste due chiavi di lettura prende spunto questa mia riflessione sul testo. Briamonte stesso paragona i suoi personaggi ad attori che recitano sul palcoscenico a cielo aperto dei luoghi di Senise, come sulla scena di un teatro quotidiano. La distanza nel tempo li ha avvolti nella nuvola dei ricordi, che è poi la nuvola di cui narra il titolo del testo. Quel paese tra le nuvole è il paese delle persone che non ci sono più e che la memoria ha trasformato in personaggi divenuti, in quel grande racconto di umanità di Briamonte, delle vere e proprie maschere.
Inevitabile è per me il rimando al teatro di Pirandello, a quelle maschere nude che si muovono sull’orlo dell’umorismo, crinale di un precipizio che sta in equilibrio tra riso e sofferenza. Come i personaggi pirandelliani anche quelli del racconto senisese suscitano ilarità, agiscono obbedendo alla legge dell’umorismo che nasconde il senso del contrario, e proprio come in Pirandello questo meccanismo genera il tragico dal comico.
I singoli personaggi che si muovono sulla scena sono per lo più rappresentati nelle situazioni più comiche, forse perché sono quelle che rimangono di più impresse nei ricordi. Ma se si ci si ferma a riflettere su quel mondo ci si accorge che ciascuno di quei personaggi è come un attore che si muove sulla scena della vita quotidiana, con le contraddizioni, le angosce e i tanti sogni andati in frantumi in una società che di prospettive ne offriva veramente poche. Per questo il riso che suscitano questi aneddoti è come il riso della lumaca nel fuoco, che Pirandello descrive nel suo saggio sul L’Umorismo, nel quale il riso dell’uomo è un riso amaro, “simile alla lumaca gettata nel fuoco, che sfrigola, e sembra ridere, e invece sta morendo”.
Pensate alle storie di Tiruccio Lista, che aveva tutte le capacità per essere un artista della musica, che conosceva meglio di tanti suonatori improvvisati, ma quello che rimediava dai suoi paesani erano solo scherzi e dispetti; o di Ronna N’Tunet, che con il suo modo di acconciarsi, i suoi tic e l’inseparabile cagnolino era troppo simile alla famosa “donna Pappagallo” del saggio di Pirandello per non farmi pensare alla sofferenza che condivideva con quest’ultima; o Rocc’ Ru Schiutat’ che nella sua indigenza nascondeva i soldi nelle fessure; o il famigerato Ron Alesandr’, persona intelligente e sensibile, così esile che camminava piegato in due, e nascondeva il suo disagio dietro una maschera di autoironia. Sapeva bene che tutti tentavano di prenderlo in giro ma usciva dalle situazioni sempre con battute argute e spiazzanti.
È un brulichio di esistenze di storie che attendono di essere riportate in vita. Vito Briamonte lo può fare, sa che ognuno di questi aneddoti è parte di un copione che, sono certo, ha già in mente. Lo ha fatto magistralmente con il romanzo “Le rose della signora Wesmaker”, uscito nel 2012, nel quale ha ridato mirabilmente vita una straordinaria Maratea del 1975. Lo può fare ancora, tessendo la tela di quei personaggi appena accennati in questo volume in un lavoro organico e strutturato, magari usando la tecnica del verosimile. D’altronde nella Senise degli anni ’70 il vero e il verosimile si confondevano quotidianamente, tanto che oggi persino nei racconti riportati a memoria è difficile distinguerli.
Attendiamo, dunque, che quel paese tra le nuvole prenda forma in un nuovo romanzo.