Aumento dei casi di violenza domestica. “Le limitazioni connesse alla pandemia hanno creato notevoli disagi”
Ci si sposa sempre meno e decisamente meno matrimoni sono celebrati a causa della pandemia da Covid. Questo accade soprattutto al Sud, dove per tantissimi è impensabile sposarsi senza un’adeguata e quanto più tradizionale festa, mentre per tanti altri appare più facile lasciarsi che aspettare il famigerato ed oltre modo rimandato ‘si’. Risultato: il matrimonio risulta incompatibile con le restrizioni in corso, ma questo non sembra valere solo per quelli che aspettano di essere celebrati. La pandemia in Italia ha di fatto amplificato la crisi dei nuclei familiari. Già in tempi normali, seppur dopo l’emozione della cerimonia, l’ebbrezza del ricevimento, la spensieratezza della luna di miele e l’emozione legata all’arrivo dei figli, spessissimo seguono fasi di stanchezza e poi di dissidio, oggi le statistiche sono oltre modo marcate dall’aumento delle richieste di separazione. Al settentrione non ci pensano due volte, non c’è virus capace di impedire la scissione del nucleo. Al Sud le coppie resistono un po’ di più, ma solo se non subentrano fattori di tipo economico. Secondo le stime dell’Ami nazionale (Associazione Avvocati matrimonialisti italiani) sono i soldi a spaccare i numeri delle separazioni nel nostro Paese: al nord rispetto al 2019 sono aumentate del 30%, mentre al sud solo della metà. Ma se si circoscrive l’analisi, ad esempio prendendo in considerazione la provincia di Bari si è addirittura in controtendenza. In base ai dati estrapolati dal Sicid (Sistema informatico contenzioso civile distrettuale) e forniti dal presidente dell’Ami Puglia (sezione distrettuale di Bari), le iscrizioni a ruolo presso il Tribunale Civile di Bari, a partire dal 9 marzo scorso, inizio del lockdown, fino a oggi (10 mesi), sono state 1.221 per le separazioni (818 consensuali e 403 giudiziali), mentre dal 1° gennaio del 2019 all’8 marzo 2020 (14 mesi) sono state 1.927 (1.410 e 517). La riduzione è dunque considerevole, sia pure calcolata su periodi non del tutto omogenei.
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Il decremento, dovuto anche al rallentamento del sistema giudiziario, si registra pure riguardo ai divorzi iscritti a ruolo: 818 dal 9 marzo a oggi (459 congiunti e 359 contenziosi), comunque meno dei 1.404 (903 e 501) tra l’1° gennaio 2019 e l’8 marzo 2020. Un dato importante, preoccupante quanto comune a tutti, che emerge è in realtà un altro. Al di là delle cifre, i dissidi, oggi più di ieri, sfociano in esiti drammatici. Lo scorso anno c’è stato in Italia un aumento del 70% delle violenze all’interno della famiglia e del 20% dei femminicidi. È la violenza famigliare, 30% dei casi, una delle cause prevalenti della rottura nelle coppie, seconda solo all’infedeltà, che nonostante la pandemia riguarda circa il 40% dei casi, seppur scoperta spesso in rete attraverso i social e le chat. “Da Avvocato familiarista, che per me comprende in sé una competenza trasversale tra il diritto di famiglia, il diritto penale e minorile, nonché da moglie e madre, posso serenamente affermare e confermare che le limitazioni connesse all’attuale stato pandemico hanno di fatto accelerato i processi disgregativi dei nuclei familiari –afferma l’Avvocato Claudia Corsaro associate di Deloitte Legal Italy- Una coppia già in crisi che per convenzione sociale o per ragioni economiche, decide di non affrontare il percorso separativo, in questo periodo di convivenza forzata non riesce più a ‘fingere’ o celare le difficoltà. Interi nuclei familiari costretti tra le quattro mura domestiche vedono esacerbare le ragioni del disagio e di conseguenza del conflitto. Non è un caso che accanto alle statistiche dei nuovi giudizi per separazione siano riportati i casi di violenza domestica. Analogo discorso vale per le famiglie non evidentemente in crisi che a causa della convivenza forzata scoprono il proprio intimo disagio riveniente dalla mancanza di ‘valvole di sfogo’ utili a riequilibrare la frustrazione della vita familiare.
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A ciò si aggiunga che le limitazioni imposte dalle misure contenitive, che hanno obbligato al ricorso sempre più frequente a forme di lavoro agile o, a causa delle chiusure di interi settori lavorativi, hanno indotto all’utilizzo dello strumento della cassa integrazione o portato al licenziamento, ancor più oggi, non fanno che minare la tenuta psicologica e la serenità di quei nuclei familiari che accanto alla crisi ‘sentimentale’ vedono concretizzarsi il fondato timore di non riuscire a far fronte alle spese che la gestione di una famiglia comporta- continua l’avvocato Corsaro – Mi sorprende che a tale indagine non sia associata anche quella relativa al disagio minorile che trova ragion d’essere nella conflittualità familiare ma che ha anche una propria autonoma manifestazione legata, ad esempio, all’utilizzo smodato e non sempre vigilato di internet e dei social network, connesso alle diverse fasi evolutive dalla preadolescenza all’adolescenza. Senza scagliarsi immotivatamente sulle famiglie, le istituzioni si sono interrogate sugli impatti psicologici che la pandemia ha su tutti i componenti il nucleo familiare sia singolarmente che nelle loro interazioni? Hanno rafforzato la rete di supporto famiglia? Hanno previsto dei percorsi di wellbeing facilmente fruibili per le famiglie? – conclude l’Avvocato familiarista Corsaro – Le statistiche rappresentano un dato relativamente preoccupante se considerate non in connessione con l’attuale momento storico a cui nostro malgrado siamo chiamati a far fronte. Gli stessi dati interpretati alla luce dell’emergenza sanitaria in atto impongono di andare oltre il numero per concentrarsi sugli effetti altri che la crisi personale prima e familiare poi possono portare sul singolo, sul nucleo familiare e soprattutto sui minori”.